CRONACA IN DIRETTA DI UN PEZZO DELLA NOSTRA STORIA
Intervista a Luigi Gorrini
l'asso dell'aviazione militare italiana Medaglia d'oro della seconda guerra mondiale
di Andrea Benzi
Domenica 17 Settembre, il Corriere della Sera, ed altri giornali, hanno pubblicato un bellissimo articolo:
Sono stati localizzati i resti interrati di un eroe dell'Aeronautica Nazionale Repubblicana e del suo Macchi 205,
il tenente Vittorio Satta.
Egli cadde sui cieli di Parma, il 25 maggio del 1944, cercando di contrastare 100 bombardieri dei Liberatori antifascisti scortati da miriadi di caccia. Si gettò contro di loro, senza paura. Si erano alzati non più di dieci aerei nostri e Tedeschi, fra i quali quello di Gorrini che ha partecipato personalmente alla riesumazione.
L'articolista del Corriere Della Sera riconosce che grazie al sacrificio di Satta e di altri eroi, i liberatori con le loro bombe,
non riuscirono a fare i danni che si erano prefissi.
Abita ad Alseno in piena pianura Padana Luigi Gorrini, incredibile asso dell'aviazione, uomo energico e fiero, combattente audace, aderì alla repubblica Sociale Italiana e difese le case dei nostri padri e dei nostri nonni, uno contro cento, dalla furia devastatrice e dai bombardamenti. Questa intervista è una commovente e toccante carrellata sull'Italia in guerra, un'Italia che molti vorrebbero mai esistita ma che è stata e sarà.
Dove si trovava il 10 giugno del 1940?
R. Il 10 giugno 1940, c'era il sentore che qualcosa stava succedendo. Ero di base sull'aeroporto di Mondovì, dove era distaccato il 18° Gruppo del 3° stormo da caccia che era a Mirafiori, dove rientrammo per armare gli aerei. Da lì la mia squadriglia andò a Novi Ligure, poi ad Albenga destinati contro i Francesi, dove vi era uno dei migliori aeroporti perché aveva la pista in cemento laddove gli altri aeroporti l'avevano erbosa. Ero ad Albenga mentre Mussolini faceva il famoso discorso e vi fu subito un allarme per aerei nemici su Genova.
Che aerei avevate?
R. I CR 42, macchina all'epoca già superata, strasuperata. Biplano di tela, senza corazze, apparecchi radio e impianti d'ossigeno malfunzionanti. Era un gran bell'apparecchio in quanto a maneggevolezza, armato da 2 mitragliatrici da 12,7, mitragliatrici efficaci, ma se pensiamo alle otto da 8,7 di cui disponevano gli Spit e gli Hurricane...
Vi furono alcuni combattimenti: andammo a mitragliare sui loro aeroporti, vicino a Tolone. Il primo mitragliamento andò male: fu una cosa strana perchè raggiungemmo l'obiettivo, trovammo tutti i loro aeroplani, li mitragliammo, ma nessuno poté fare rapporto di aver visto incendi. Pensammo fossero le nostre pallottole difettose e al ritorno facemmo una prova: sparammo con un aereo in una latta di benzina che invece si incendiò subito. La ricognizione accertò che avevamo sparato su delle sagome, ci avevano fregati. Ma il giorno dopo li fregammo noi: piombammo su un altro aeroporto a mezzogiorno in punto, due squadriglie di protezione su e noi giù a fare mitragliamento. Avvenne un combattimento molto duro e per fortuna si alzarono in volo solo tre o quattro dei loro Dewoitine 520: tirarono giù due dei nostri, i due gregari del comandante di gruppo, il maggiore Mossilla, già comandante in Spagna delle squadriglie di mitragliamento a terra della guerra di Spagna (le famose tre frecce col fascio nero e "ocio che te copo")
Quale era l'atmosfera generale, qual era il morale all'entrata in guerra?
R. Il morale era molto alto. Credevamo inoltre di avere aerei validi, ma quando vedemmo cosa aveva il nemico, la Francia, parlo dei Dewotine e dei Morane, ci dovemmo ricredere. Io poi ho conosciuto quelle macchine in seguito, quando mi recai in Francia a prendere alcuni loro aeroplani che erano rimasti al Governo di Vichy (cominciavamo a scarseggiare dei nostri ed avevamo bisogno di tutto). Era come paragonare un triciclo ad una Ferrari...
D. Come era lo stato della Regia Aeronautica?
R. All'inizio della guerra avevamo due tipi di aeroplani: il CR 42 della FIAT, biplano, ed il Macchi 200, aeroplano noioso e da naso, i primi se si stringeva si partiva in rotazione; ma era un buon monoplano, una macchina che si adattava molto bene. Sapevamo però e ci avevano detto che erano pronti il 200 ed il 202, sempre della Macchi. La FIAT aveva ricevuto una cospicua commessa di produrre tanti CR42...penso che abbia continuato fino alla fine della guerra...
i Macchi potevano andare meglio.
D. E il Fiat G. 50?
R. Il Fiat G.50 era un monoplano, molto da naso ...ha fatto molte vittime e quando è uscito era già abbondantemente superato. Una macchina strana, dovevi stare molto attento in fase di decollo e di atterraggio.
Noi pensavamo comunque di vincere la guerra, dopo invece...Guardi gli unici aerei competitivi che abbiamo avuto sono stati il Macchi 202 ed in particolare il 205: con questo potevamo tener testa agli Spitfire, agli Hurricane e persino agli americani con i loro Mustang, durante la Repubblica Sociale. Certo che il Mustang era superiore, perché a 10000 metri i comandi con il 205 non li sentivi già più. Forse il migliore di tutti i nostri è stato il Fiat G.55, lì potevi andare anche a 10000 metri, ma ne produssero davvero pochi.
D. Torniamo al primo impatto con gli aerei francesi. Che cosa provò?
R. C'è da dire che la Francia era davvero allo sbando...Ma io ero un pivellino, ero entrato in aeronautica nel 1937 ed arrivai al reparto i primi mesi del 1939. Ero l'ultimo arrivato della mia squadriglia, quindi inesperto di guerra. Però con me vi erano piloti che avevano fatto la guerra di Spagna, e fu davvero una fortuna perché, arrivando al reparto fui affiancato a due anziani su disposizione del comandante di squadriglia; ogni squadriglia aveva la pattuglia acrobatica e mancava uno per fare il fanalino della pattuglia acrobatica. Fu così che mi venne assegnato il sergente maggiore Bortolotti Tullio come istruttore acrobatico e il sergente maggiore Rozzi, oggi generale, come addestratore bellico. Simulavamo in volo la caccia. Devo a lui, reduce della Spagna e membro della famosa squadriglia della Cucaracha, tanti preziosi insegnamenti.
D. Ma che cosa pensava del nemico che aveva di fronte?
R. Nei primi combattimenti in Francia...non avevo il coraggio di sparare. A me, quel signore che mi stava di fronte non aveva fatto niente; durante la guerra ho sempre cercato di non sparare sulle cabine dove stava il pilota, ma cercavo di sparare sempre sull'aeroplano, alla macchina. Certo dovetti svegliarmi, perché nessuno scherzava: guardi quelle foto...una cannonata sul 205 che mi sfiorò la testa, fortuna che vi era una corazza difensiva, fu un colpo di un cannoncino da 20 mm...Insomma, in Francia, le prime volte avevo l'aeroplano d'avanti e non mi decidevo a sparare. Un bel momento il comandante, il maggiore Ussilla, mi affiancò e fece quello che avrei dovuto fare io. Poi a terra mi riprese: "Che cazzo aspettavi? Se devi fare la guerra in questo modo, è meglio che tu stia a terra!" Però sparare addosso ad una persona ...
Ma posso dire di aver assistito da parte dei nostri nemici ad episodi terribili: mitragliamenti sui nostri piloti abbattuti mentre scendevano con il paracadute. Io mi buttavo giù, li seguivo i nemici mentre scendevano, gli ho persino buttato la borraccia dell'acqua...erano uomini come me. Comunque per me era una cosa nuova, mentre gli anziani della Spagna la sapevano già lunga.
D. La guerra va avanti, il conflitto si inasprisce. Cosa successe dopo la campagna di Francia?
R. Finita la Francia tornammo a Mirafiori, giungevano strane notizie dall'Africa. Perché, vede, se noi eravamo a terra sul territorio nazionale, in Africa erano sottoterra: avevano i CR 32, ancora quelli della Spagna, degli AB 1, dei Breda 64 e 65, facevano un po' di mitragliamento...Per rafforzare la situazione in Africa, un gruppo di 50 aeroplani del nostro stormo venne mandato in Libia. Il trasferimento si svolse senza problemi e potemmo subito rientrare in Italia dove ci consegnarono nuovi CR 42 prodotti dalla Fiat: nuovi, ma ancora identici ai vecchi, cioè senza corazze. Tanto è vero che noi piloti avevamo adottato qualche piccolo accorgimento: uno era quello di riempire il portabagagli che avevamo dietro la testa, per gli effetti personali, con un sacchetto di sabbia che poteva fermare le pallottole. Il maresciallo Sozzi mi salvò la vita sul cielo d'Inghilterra. Avevo lo Spit di dietro e non me n'ero accorto e lui si buttò fra me e lo Spit, e ...prese la raffica lui.
Una pallottola gli perforò i polmoni, ma riuscì ad attraversare, ferito, la Manica e atterrò di fortuna a Calais...i Tedeschi lo recuperarono subito. Sozzi fu proposto dal generale Fusi, comandante del corpo di spedizione, per la medaglia d'oro. Quando l'ho ritrovato un po' di tempo dopo..."E allora?" "Eh belin, belin - rispose da buon genovese - la medaglia me l'hanno data, ma d'argento...sai ho i gradi qui" (e indicava la spalla dove stanno i gradi dei sottufficiali). I sottufficiali erano discriminati nell'assegnazione di medaglie: per loro occorreva la testimonianza in volo di almeno due persone. Gli ufficiali invece tornavano, raccontavano e ...venivano creduti sull'onore. Ma io, che ero sottufficiale, ho tutto a posto: verbali, rapporti, prove concrete, prigionieri. Ho 24 aeroplani abbattuti individualmente! Senza contare quelli che ho contribuito ad abbattere con altri e quelli che ho distrutto a terra...Un ufficiale tornava alla base, affermava di aver abbattuto un aereo ed era una medaglia d'argento. Io ho abbattuto 19 aeroplani prima dell'8 settembre, avevo diritto a tre medaglie d'argento che mi hanno commutato in una d'oro.
D. Partecipò anche alla Battaglia d'Inghilterra?
R. Come le dicevo, tornato dal trasferimento in Africa, ci consegnarono nuovi aeroplani CR 42: senza corazze, impianti d'ossigeno malfunzionanti, salvagenti di marina troppo grossi che ci impedivano i movimenti. Da Torino partimmo ed atterrammo a Monaco dove facemmo rifornimento. Ricordo che nevicava. Di lì ancora fino a Francoforte e poi da lì fino in Belgio, ad Ursell, una cosa assurda e incredibile, il campo non si vedeva, anche il comandante era stupito.
Un bel momento abbiamo visto degli alberi, pini, che si muovevano, delle mucche per terra. Era tutto mimetizzato e così bene che gli Inglesi non sono mai riusciti a trovare quel campo. C'era perfino una grande fattoria di cartone con porte e finestre, mucche di gomma gonfiabili e pini che una volta tolti venivano rimessi al loro posto per coprire i rifugi degli aerei a loro volta coperti da reti. Eravamo in braghe di tela, pensi che non avevamo riscaldamento sugli aerei, che peraltro erano aperti. Volavamo anche a trenta gradi sottozero a terra! Se si doveva partire alle 11 di mattina, i poveri specialisti si attaccavano alle eliche degli aerei che non riuscivano a far girare, l'olio era diventato duro. Il mangiare in un primo tempo non era buono, ma poi arrivò la logistica dell'intero corpo italiano e la musica cambiò. Fango da tutte le parti.
Le operazioni venivano decise dai tedeschi e a noi spettava la scorta ai nostri bombardieri: era un macello. Erano venuti un sacco di piloti, figli di papà, a provare l'ebbrezza della guerra...questo fenomeno si era già visto in Spagna. Ma non era una guerra dei soldi, era una guerra del piombo e gli Inglesi non scherzavano affatto, sparavano sul serio.
Facevamo la scorta ai bombardieri, ma tenerli uniti era un'impresa: uno andava giù perché i motori non ce la facevano. Erano BR 20, macchine anch'esse di tela, idonee a volare leggere e a partire su terreni secchi ed aridi. Qui invece si era carichi di bombe e le piste erano fangose, e poi i piloti mancavano d'addestramento. Le prime due azioni furono un disastro: i Tedeschi ci fermarono e si accorsero degli aeroplani che avevamo...ossigeno che si bloccava, senza radio, aeroplani di tela e come prima cosa ci diedero le stufe catalitiche per scaldare i motori e poi, nel giro di 48 ore ci applicarono corazze aggiuntive.Ci dettero le loro combinazioni, guanti e caschi nuovi (avevamo ancora il caschetto di tela). Francamente avevamo solo gli occhi per piangere, abbiamo fatto la guerra in queste condizioni; non avevamo neppure le carte, dal momento che già in Italia andavamo avanti seguendo le carte stradali del Touring Club. Immagini, con le nebbie. Dopo un combattimento rientrammo in 25 in quattro nazioni diverse, non si vedeva nulla se non i campanili.
Sono atterrato avendo visto una pista ma era un'autostrada e prima di me, lo avevano già fatto in quattro: uno andò a finire in una piazza d'armi ad Amsterdam, Saddini, altri finirono fra i pini. Due furono abbattuti, o almeno dissero di esser stati abbattuti, ma poi in seguito si accertò che avevano avuto guasti tecnici. Il povero Salvadori, e Lazzari. Uno aveva l'entrata dell'olio a 120 ed ebbe paura ad attraversare la Manica, a tornare indietro e tentò quindi un atterraggio in territorio inglese, ma nell'atterrare trovò una buca e l'aereo si mise "sull'attenti" (la foto è negli archivi inglesi) e venne fatto prigioniero.
All'altro impazzì la bussola. Uno di questi aerei è all'Imperial War Museum, precisamente l'aeroplano di Salvadori. Giuntella, Rozzin, Lolli, Guglielmetti. Grillo, Mazza li perdemmo, più altri, ma non Lazzari e Salvadori. In pieno inverno arrivò quindi l'ordine di rientrare, e nel frattempo erano arrivati anche i Fiat G.50, ma non parteciparono ad alcuna azione, non avevano autonomia perchè passata la Manica dovevano tornare subito indietro. Li schierarono quindi come difesa notturna degli aeroporti, in voli notturni isolati. Guardi la spedizione in Inghilterra fu tutta da dimenticare: bombardamenti male eseguiti, macchine inidonee. Il combattimento dell'11 novembre fu però un gran bel combattimento! Pensi che ho avuto occasione di incontrare anni dopo chi vi partecipò dalla parte opposta, a Monaco, durante un raduno di ex-combattenti di tutte le nazioni belligeranti tranne i Russi. Io cercavo il francese Klostermann che ha scritto alcuni libri, il primo molto interessante, ma il secondo pieno dei soliti luoghi comuni su noi Italiani, salvo poi dopo ammettere che non aveva mai avuto il piacere di incontrarci in volo. Mi avvicina un signore e mi chiede: "Tu sei Gorrini?" "Si" rispondo. Era Peter Towsend, l'asso della caccia inglese, il quale parlava perfettamente l'italiano poiché aveva studiato a Firenze. "Eri tu su quel CR 42 che mi sparò addosso colpendomi nel tallone!" "Se sono stato io, tu allora eri quell'Hurricane che mi sparò e i proiettili mi passarono attraverso le gambe". Siamo diventati amici e quando veniva in Italia andavo a prenderlo all'aeroporto. Siccome era un appassionato di macchine e io conoscevo l'ingegner Ferrari, lo portai a Maranello dove gli fecero provare un muletto in pista...gli sembrò di toccare il cielo con un dito!
D. E dopo la battaglia d'Inghilterra?
R. Rientrammo, ma prima fecero togliere le carenature alle ruote dei CR 42 perché c'era troppo neve. Rientrammo perché le cose andavano molto male in Africa. C'era la ritirata di Graziani e, nel giro di due giorni fummo a Sirte atterrando con un tempo molto brutto. Pensi che mai, dico mai, in un trasferimento perdemmo aerei. Da Mirafiori atterrammo a Pisa, poi a Reggio Calabria, poi a Pantelleria, Zuare (?), Castelbenito e quindi Sirte, molto vicino al fronte. Vedevamo colonne infinite di soldati sbandati, scappavano, nessuno li fermava più; incominciammo subito a levarci in volo e a fare mitragliamenti sulle colonne inglesi, in particolare nella zona di Agedabia e riuscimmo a contenerli. Mi ricordo che il maggiore nostro con altri ufficiali e soldati si mise sulla Balbia, pistola in pugno, a fermare ed inquadrare gli sbandati e noi da Sirte non facevamo altro che partire e ripartire (tornavamo solo quando avevamo esaurito le munizioni). Davvero il nostro fu un intervento prezioso, e vi era anche l'VIII gruppo più altri. Rimanemmo giù alcuni mesi. Le condizioni erano disastrose, mangiavamo gallette e scatolette, la galletta si gonfiava nello stomaco e ad alta quota provocava dolori e gonfiori...mancava acqua, era pieno di mosche e scorpioni. Alla fine ci rimpatriarono per farci riposare e lasciammo gli aerei al gruppo di Vizzotto o di Bailo, non mi ricordo. Rimpatriammo, ci diedero venti giorni di licenza e poi ci portarono a Caselle dove ci fecero fare qualche giro sul Fiat G. 50 per poi consegnarci il Macchi 200, il "saetta", monoplano con motore stellare. Di lì quindi in Grecia ad Araxos il dicembre del 1941, vicino al mare. Facevamo crociere di protezione. Mi ricordo che Argostoli e Cefalonia non potevano essere sorvolate da nessuno, per ordine del comando. Ricordo di aver visto un giorno, insieme ad un gregario, un aeroplano scuro che volava verso Argostoli. Lo inseguii e stavo per sparargli quando vidi le croci tedesche, il mio gregario, un giovane sergente, credette che io lo avessi mancato e gli sparò. L'aereo era pieno di benzina ed andò giù.
Vi fu un processo e, fortunatamente, il giovane venne assolto perché l'aeroplano era caduto a terra.
Facevamo molte scorte navali, fino all'Egeo.
Un bel momento ci fecero rientrare: il nostro, il XVIII, era un gruppo autonomo che poteva essere impiegato ora qui ora là. L'altro nostro gruppo, il XXIII, era su Malta. Ci mandarono ancora in Africa Settentrionale, questa volta con i Macchi 200.
D. Il Macchi 200 era già un aereo migliore rispetto al CR 42?
R. Si' era meglio, ma era ancora arretrato rispetto ai mezzi degli Inglesi. Aveva ancora la cabina aperta, che poi in Africa non era forse neppure il male peggiore...Atterrammo vicino a Bengasi, dove avevo in precedenza, con il CR 42, abbattuto due Blenheim che stavano per bombardare il porto e poi ne tirai giù un altro. Ne ho visti tanti sfilarmi e per un semplice motivo: erano più veloci di noi. Se si era in quota potevamo riuscire a prenderli, altrimenti era impossibile. Il Blenheim era un bombardiere leggero e veniva affiancato dal Beaufughter, caccia pesante: due gran belle macchine.
Da Bengasi andammo a Ouadi- Tamed (?) e lì, poiché tiravamo la cinghia a furia di mangiare in continuazione gallette e scatolette, un giorno mi venne una bella idea. Presi un CR42 e sorvolai l'Ouadi. Vi erano numerose gazzelle che andavano a bere e si nascondevano fra la vegetazione, al rumore dell'aereo fuggivano allo scoperto e ne buttai giù tre o quattro.
Un camion dietro le raccolse e vi fu carne per tutti. Un'altra volta eravamo sul golfo di Bomba e dissi all'armiere: "Oggi mangiamo il pesce, togli le spolette dalle bombe da 50 Kg". Tolse le spolette e lanciammo le bombe in acqua, vennero a galla dei dentici di mezzo metro...Dovevamo soprattutto arrangiarci. Ero riuscito a dotare il reparto anche di automezzi, perché durante una caccia, meglio una ricognizione per intercettare gruppi di commandos che di notte attaccavano i nostri aeroporti, vidi in mezzo al deserto un mucchio di mezzi abbandonati. Al ritorno lo dissi al comandante di squadriglia, il capitano Giuntella, e mi feci dare un camion con alcuni specialisti. Non avevamo mezzi. Con un 38 SPA, un fusto di benzina ed un fusto d'acqua, dopo aver piazzato una mitragliatrice sul cassone, tolta da un aereo scassato. partimmo. Trovammo i mezzi, non vi erano segni di colpi, non vi erano morti, tutti mezzi inglesi, più alcuni dell'esercito gollista. Vi erano persino alcune armi. Eravamo piuttosto eccitati e ricuperammo molta roba: alcuni funzionavano, altri potevamo trainarli con lo SPA. Stavamo per ripartire quando sentimmo un colpo di fucile isolato, non sapevamo da dove partiva quel colpo e rispondemmo al fuoco con la mitragliatrice, sparando in alto. Vedemmo uscire da dietro un mezzo un uomo lacero, sporco, con la barba rossa e lunga ed a mani alzate. Era l'armiere di un Blenheim che era stato colpito durante un bombardamento su Tobruk e che si era lanciato.Aveva girato per il deserto finché non si era imbattuto in quel posto e lì era rimasto per quasi trenta giorni bevendo l'acqua dei radiatori. Capimmo inoltre perché quei mezzi erano stati abbandonati: si era in mezzo ad un campo minato. I miei compagni erano preoccupati, ma piano piano riuscimmo ad uscire indenni. Con i nostri aeroplani che ci stavano cercando siamo rientrati con alcuni camion e pensi, con una Peugeot 405 francese che regalammo al comandante di squadriglia. Io avevo trovato una Guzzi con motore V targata Torino. Quei mezzi ci furono utili dopo, durante la ritirata di quasi 5000 chilometri quando sfondarono ad El-Alamein.
Eravamo ad Abu agad (?). Nel frattempo avevano applicato ai nostri aerei delle rastrelliere che portavano delle bombe speciali, le bombe "Mazzolino", bombe potentissime ma in un involucro di alluminio. Con ordigni dello stesso tipo si diceva che i Tedeschi avessero espugnato la linea Maginot. Il problema era che se uno rientrava con alcune di queste bombe ancora attaccate alle rastrelliere, rischiava di saltare in aria, e così purtroppo fu in un paio di casi. Allora via le rastrelliere e ci misero due attacchi per le bombe da 50 KG. Eravamo costretti quindi a fare anche i bombardieri, in particolare quando avanzammo fin dopo Marsa-Matruh dove potemmo ricongiungerci con l'altro nostro gruppo che era già stato dotato dei nuovi Macchi 202. Il fatto che eravamo costretti anche a fare da caccia-bombardieri spiega il nostro distintivo: una vespa incazzata con in mano un pugnale, che significa il caccia intercettore, e con nell'altra mano un guantone, che significa il caccia-bombardiere.
D. Il Macchi 202 era un aereo decisamente migliore?
R. Sicuramente era un aereo già competitivo. Certo che quando ci gettarono, durante l'offensiva, addosso nugoli di P 40 e di Spitfire, anche questa macchina non poteva fare molto.
D. Lo Spitfire era un osso duro?
R. Lo Spit era un osso molto duro...aveva un mucchio di mitragliatrici, più due cannoncini da 20 mm ed era inoltre più veloce. Il 202 gli era decisamente inferiore in velocità ed armamento. Quindi un bel momento il 4° stormo, che sembrava il migliore stormo d'Italia (i suoi comandanti sono diventati in seguito Capi di Stato Maggiore) e che quindi veniva dotato sempre degli apparecchi migliori, quando ha cominciato ad esserci puzza di bruciato e cioè quando era chiaro che avrebbero sfondato, sono rimpatriati ed hanno lasciato i loro Macchi a noi, il XVIII Gruppo, e noi abbiamo dato i nostri 200 a quei poveracci dell'VIII stormo che avevano ancora i CR 42. Finalmente avevamo un aereoplano competitivo, era il finimondo, perché ci venivano addosso nuvole di caccia avversari.
D. Ma quando vi rendeste conto di ciò che stava accadendo, dello sfondamento ad El-Alamein?
R. Tutto sommato piuttosto tardi, anche se cominciarono a preoccuparci i sempre più frequenti bombardamenti, diurni e notturni. E da lontano vedevamo le prime linee che venivano martellate dalla loro artiglieria. Ma fino a quel momento il nostro campo era stato lasciato in pace, stavamo ad Abu AGad (?), un po' spostati e l'attendamento nostro era in riva al mare. Addirittura di notte tenevamo qualche luce accesa, ma i loro aerei ci passano sopra senza toccarci. Solo che una notte invece...un loro bombardiere fece due giri e sganciò due bombe dirompenti, per uccidere il personale e non tanto distruggere gli aerei. Non erano bombe per scoppiare in profondità, ci fecero fuori un mucchio di piloti. Io quella notte ero a letto in tenda, alcuni erano svegli e giocavano a carte. Luci accese fuori e dentro, e non c'erano rifugi, l'unica protezione era verso il mare perché avevamo paura degli incursori, una fila di bidoni vuoti con filo spinato ed una mitragliatrice pesante, a protezione della tenda. Dormivo sulla brandina, la tenda era chiusa, non mi ricordo chi la aprì, ma so solo che corsi fuori mezzo nudo. C'ero io davanti, Sandini e Scocchetti e la bomba cadde in mezzo a noi. Mi gettai nella buca che utilizzavamo come latrina, che era già piena di gente. Sento urlare, gridare aiuto, ero nudo, perché quel poco di vestiti mi era stato strappato dall'esplosione. Scocchetti l'ho trovato che si teneva la pancia con l'intestino che fuoriusciva...
Lambertini era stato ferito mortalmente alla schiena e mi morì vicino; un altro, che sembrava non avesse niente fu ucciso dallo spostamento d'aria. Abbiamo perso 12 fra piloti e specialisti. Uno si amputò con un coltello da solo la gamba, povero Leo, mentre lo portavamo in ospedale. Incominciammo la ritirata. Una scena indescrivibile, difficile da credersi cosa successe, cosa ho visto. Ci spostavamo con gli aerei rimasti, di base in base. o dove potevamo atterrare, aspettavamo che i Tedeschi ci portassero la benzina di notte, a volte ce la buttavano senza guardare troppo dove andava a finire. Facevamo rifornimento agli aerei, gli armavamo e aspettavamo che il nemico si avvicinasse con i carri e quando erano quasi vicino all'aeroporto decollavamo per andargli incontro. Mitragliamenti e poi indietro verso un altro aeroporto: abbiamo fatto così 4000 chilometri. Arriviamo infine a Tripoli, alla Melaca (?) dove c'era un circuito automobilistico su cui correvano un gran premio, non avevamo da mangiare, non avevamo da bere. Le divise ed i pantaloni erano tenuti insieme dal filo d'ottone, sporchi. Ci si doveva spostare a Zuara, ma quattro piloti ricevettero l'ordine di restare lì con il tenente Speicher e con l'ordine di rotolare una volta che tutti erano partiti qualche fusto di benzina dentro i magazzini. Dentro c'era l'ira di Dio. Montagne di caffé, di tè, divise, sahariane. Dovevamo versare la benzina e poi sparare dentro per incendiare tutto quanto. Vi erano montagne di acqua di Ciampino imbottigliata, montagne di vestiti, ci divertimmo per un po' ad aprire un mucchio di casse, curiosi. Spaccavamo giù tutto, trovai una cassa piena di macchine fotografiche Leica e quattro me le misi al collo, ma le persi o distrussi per strada. Sparammo dentro e incendiammo tutto; poi arrivammo a Sfax e ancora Medelin e a Korba. Ormai eravamo stretti in Tunisia. Mi ricordo che fregai le lenzuola del maggiore Camarda e feci in tempo a partecipare alla famosa battaglia di Kasserine (gli Americani le presero di santa ragione dai Tedeschi) e noi scortavamo i carri Tedeschi, come immortalato da un quadro fatto da un'associazione americana di assi dell'Aeronautica che dirige due importanti musei. So che in Arizona, a Mesa, esiste una mia grande fotografia, insieme con una del Maggiore Visconti, mi hanno invitato più volte in America, ma non me la sento di andarci. Mi hanno invitato anche a Londra, e neppure a Monaco, alla fine sono venuti qui da me e mi hanno fatto firmare un mucchio di quadri che hanno fatto fare da un pittore e che mi ritraggono, in qualità di esponente della caccia italiana, mentre scorto i Tiger tedeschi in Tunisia. Quel quadro compare a fianco di quadri raffiguranti le imprese di Clostermann, il francese, di Adolf Galland, il tedesco, di Towsend per l'Inghilterra: i più grandi assi dell'aeronautica. Me ne hanno fatti firmare 600 e poi so che gli hanno messi in vendita a più di mezzo milione! L'ha visto un mio amico che, dopo la guerra, se ne andò per paura in America, ve ne furono molti dei nostri che andarono in America e fecero là i piloti commerciali.
D. Arriviamo al 1943: Tunisia, Sicilia, la guerra prende una brutta piega. Cosa provavate?
R. Io in Sicilia non sono stato impiegato...comunque la guerra capimmo che era persa con El-Alamein. Vedevamo i mezzi che avevano, ne tiravamo giù dieci e, il giorno dopo, ci erano addosso il doppio. Noi invece non riuscivamo più a rimpiazzare le perdite e gli aeroplani cominciavano a scarseggiare; ripiegavamo e lasciammo gli aeroplani a chi rimaneva.
D. Nell'estate del 1943 avvengono bombardamenti massicci sulle città italiane: quasi ogni città viene colpita ed in particolare le grandi, Napoli, Genova, Torino, Milano ed infine Roma.
Che cosa facevate per difendere?
R. Il III stormo rientrò in Italia, a Milano ed eravamo dotati di Macchi 202 e di alcuni Messerchmitt che i Tedeschi ci avevano dato. Siccome eravamo un gruppo molto compatto ci schierarono alla difesa di Roma. Stavamo a Ciampino, ed eravamo comandati da Falconi, persona molto a posto ma che suscitava odio e invidia fin da quando era diventato campione mondiale di volo a rovescio; era un uomo che faceva di testa sua ed ignorava i burocrati del Ministero. Noi eravamo tutti schierati a CIampino sud, tutto lo stormo, e benché fossimo destinati a difendere Roma venivamo spesso chiamati a dare man forte a Napoli che era debolmente difesa da qualche squadriglia autonoma. Il nostro stormo era di sei squadriglie, più di sessanta aerei. Una notte, i nostri bombardieri partivano da Ciampino nord in azioni isolate, i 79, uno ogni cinque minuti. un Beaufighter si era accodato ad un S.79 e lo aveva seguito per vedere da dove partiva. Quando il nostro sparò il razzo di segnalazione per atterrare venne avvistato anche l'aereo inglese che venne abbattuto dalla contraerea tedesca.
Il comandante Falconi disse: "Se quello ha comunicato via radio da dove avviene la partenza, domani ci distruggono l'aeroporto." Ormai piombavano addosso agli obiettivi con minimo duecento quadrimotori, formazioni imponenti.
Falconi non aspettò l'ordine del Ministero, ma all'alba diede l'ordine a tutti gli apparecchi efficienti di dirigersi a Cerveteri, a Nord di Roma. Partimmo.
D. Quindi a difendere Roma non c'erano che una sessantina di aerei?
R. Sì, c'eravamo solo noi con in più qualche aereo della notturna a Centocelle, ma poca roba. C'era Rotondi che volava con un Lighting che era stato catturato agli Americani e momenti lo buttavo giù io, sta testa di cavolo...A Cerveteri dovevamo aspettare l'ordine del Ministero per partire, ma Falconi, non appena giunse voce che la formazione nemica era su Roma, ci diede l'ordine di partire. Io avevo il 202, e ci dirigemmo al largo di Ostia. Era il giorno del famoso bombardamento su Roma, il 18 luglio del 1943 e si era sparsa la notizia che a prender parte all'operazione degli americani vi era il famoso divo Clark Gable: cercai invano la figura che contraddistingueva il suo aereo.
D. C'è un combattimento in particolare di cui vuole parlare?
R. Ma...un giorno, appena dopo il bombardamento su Roma, arriva la notizia che volevano consegnare un nuovo Macchi alla nostra squadriglia, era un 205. Vi fu un conciliabolo su chi spettasse guidare la nuova macchina e, grazie al numero di abbattimenti gia' conseguiti, riuscii a spuntarla. Mi diedero un foglio di viaggio e mi recai al Nord per ritirare il nuovo apparecchio, quando lo vidi chiesi spiegazione e informazioni. "Che te devo spiegà? - mi disse il collaudatore , un romano, - questo è sempre il 202. Una sola cosa: se Ti capita di sparare, non sparare con tutte le armi contemporaneamente, altrimenti il rinculo è troppo forte. O spari con i cannoncini da 20 mm, oppure spari con le mitragliatrici 12 ,7" Ma io non ho mai seguito questo consiglio ed ho sempre sparato con tutte le armi: se la va, la va...Ma chiedevo ancora informazioni - "E' il 202, dai vai!..." Appena su mi accorsi che invece il motore era più potente. Arrivo a Cerveteri e mi viene incontro il maggiore Camarga (?): "Gorrini, tu domani stai di riposo" Ed io: "Fin che non ho fatto un combattimento con questo, io monto di allarme tutti i giorni". Quell'aereo è durato 48 ore! Il comandante di squadriglia mi aveva ordinato di partire dopo tutti gli altri, poichè avevo l'aereo più potente e più armato e dovevo fare il suo primo gregario di sinistra, mentre gli altri stavano tutti sull'ala destra. Era il capitano Giuntella, oggi generale. Partono e parto anch'io per ultimo in mezzo ad un gran polverone; arriviamo al largo di Ostia e vediamo una grande formazione nemica da bombardamento. Non sapevamo dove si dirigevano, pensavamo ancora su Roma, ma poi apprendemmo che l'obiettivo era Sulmona, dove era accantonata la divisione corazzata tedesca Hermann Goering, nella foresta. Una grande formazione, lì sotto gli occhi: il comandante mi faceva segno di stare calmo, per radio non si poteva parlare, ma alla fine il capitano Giuntella, continuamente incalzato da me, mi diede il via libera. Sono andato su, e andando su attaccai l'ultimo loro gregario di destra e sparai fra l'attacco dell'ala e la fusoliera: era un B-17, una "fortezza volante". feci un looping e mi ripresentai addosso, appena per vedere la sua ala che letteralmente si staccava, con i due motori che giravano e questa che andava in vite. L'aereo cadde sull'aeroporto di Nettuno: ero a 7000 metri ma sentii lo spostamento d'aria e vidi due o tre paracadute lanciarsi e commisi la solita coglionata che fanno tutti i piloti quando abbattono un aereo avversario, cioè girarsi per vedere dove cade l'aeroplano. Mi è piombato addosso un loro caccia della scorta, un Lighting P38, mi son visto i suoi colpi passarmi sopra la testa, mi aveva mancato di un soffio e poi fece una cosa stupida entrandomi a tiro. Lo centrai in pieno, tanto che scoppiò e, se non mi aggrappo ai comandi finisco dentro i pezzi dell'esplosione. Vidi che il pilota aveva fatto in tempo a buttarsi con il paracadute. Mi rigetto all'inseguimento della formazione, attraversando tutta l'Italia e la intercetto sull'obiettivo, mi scaglio contro l'ultimo dei B-17. Feci quattro attacchi e dopo un po' vidi ben 9 paracadute che scendevano, ma l'aereo seguitava nella sua corsa, normale. Lo riaffrontai e, forse fu una delle poche volte che lo feci, sparai in cabina, non c'era più nessuno ed avevano installato il pilota automatico. L'aereo cominciò a perdere quota e, ancora una volta, lo inseguii per vedere dove cadeva. Mi arrivarono addosso 12 Lighting, 6 da una parte, 6 dall'altra. Tengo imbarcato l'aeroplano e, avendo sparato raffiche molto forte e continue, le armi si erano scaldate, mi scoppiò il cannoncino di sinistra, perforandomi l'ala. Mentre stavo cercando di fuggire, avevo una paura incredibile, verso i 3000 metri, mi saltò il tettuccio che volando via mi ruppe l'antenna e mi danneggiò i timoni di coda. In quelle condizioni, avevo una cartina che mi era stata portata via dal risucchio, tirai la cloche più che potevo, tanto che si piegò. Ero a 1500 metri e vidi sotto di me il mare, provai con la radio. Chiama, chiama, un bel niente. Finalmente arrivò la risposta. Ero su Pescara, mi ricordo il porto; mi diedero indicazioni per orientarmi, ma la benzina cominciava a scarseggiare. In più mi dissero di non atterrare a Cerveteri perché era stato distrutto da un bombardamento. La formazione che avevamo intercettato prima era seguita da un'altra che puntò su Cerveteri. Mi dissero di atterrare alle Strisce, verso Ostia, vicino al torrione in cui fucilarono Salvo d'Acquisto. Cala la benzina, non vedo arrivare Cerveteri, non vedo arrivare le Strisce: finalmente ci sono sopra, ma questa volta è l'elica che va in croce (non c'era più un goccio di benzina). Ricordo i fili dell'alta tensione della linea ferroviaria e che puntai a terra per poi cercare di saltare i fili, fu la forza della disperazione a salvarmi, perché anche il carrello non funzionava più bene. Atterrai e mi venne incontro il maggiore, furente, credevo che mi mangiasse. L'aereo non era più riparabile. "Comandante, ci sono due quadrimotori ed un caccia!" "Non contare balle" questa fu la sua risposta. "Non sono balle, non sono caduti in mare, non sono un ufficiale e in più sono caduti al di qua delle nostre linee". Avevamo un Fieseler-Storch, un aereo tedesco da ricognizione, "Andiamo a controllare gli dissi". Partimmo (non l'avevo mai guidato) ed arrivammo a Nettuno. C'era una buca enorme, quelli della contraerea dissero che i due piloti che avevano fatto in tempo a lanciarsi li avevano portati via i Carabinieri insieme ai Tedeschi.
"E uno!" Li andiamo a cercare e raccontano di esser stati attaccati da un aereo isolato, velocissimo e senza numeri e distintivi. "Andiamo" Cercavamo il Lighting sul lago di Nemi...Finalmente atterriamo su un prato e due ragazzini ci dicono di aver visto un motore in un punto e che il pilota era stato portato via dal maresciallo dei Carabinieri. Andiamo da lui, il pilota era francese e disse che aveva anche lui avuto un combattimento con un aereo senza distintivi. C'era da andare a Sulmona, ed il maggiore titubava, bisognava attraversare gli Appennini ed entrammo dentro un temporale che ci fece ballare per quaranta minuti. Voleva tornare indietro, ma indietro faceva più buio che avanti, acqua che veniva dentro, ma arriviamo a Sulmona e ci rechiamo al comando tedesco dove stavano alcuni prigionieri, di cui uno enorme.
Era il comandante della fortezza volante, un australiano. Anche lui disse quello che avevano detto gli altri: caccia veloce, senza distintivi, isolato. Mi piacerebbe conoscere il pilota aggiunse, ed il maggiore mi indicò, mi tese la mano e mi piantò una stretta di mano che stavo per dargli un calcio. Poi mi volle fare un regalo e, aprendo un calzare, tirò fuori una 7,65 che mi regalò.
Qualche giorno dopo mi tirarono giù sopra Frascati, dopo che avevo tirato giù uno Spit e mi erano venuti addosso in quattro.
D. Il 25 luglio cade Mussolini, si cominciò a capire qualcosa di quello che sarebbe successo?
R. Guardi il nostro morale rimase sempre altissimo. Stavamo bene, alloggiavamo all'Hotel Margherita di Ladispoli, vicino a Cerveteri. C'erano un mucchio di artisti cinematografici di Cinecittà, sfollati da Roma: molte attrici. Alla sera, quando dopo aver cenato andavamo a prendere un caffè nell'unico bar sulla piazza principale, stavamo con loro.
E a chi aveva abbattuto un aereo si offriva una bottiglia di spumante, era una baldoria, lei immagini...
Quel che successe il 25 luglio non ci scalfì. Continuammo come se niente fosse la nostra attività. Sapevamo che a Fregene, vicino a noi, stava Ettore Muti che, se fosse venuto da noi forse si sarebbe salvato ed invece poi lo fecero fuori.
Un giorno c'è da andare a difendere Napoli, lo avevamo fatto diverse volte e arrivammo che il bombardamento era già avvenuto. Ci lanciammo all'inseguimento della formazione alleata e ci piombarono addosso gli Spit. Mi arrivò dentro una cannonata secca, mi trovavo quasi sopra il Volturno e per fortuna che ero in quota sugli 8500; mi venivano dietro, ma il motore funzionava ancora e alla radio mi dicevano di stare calmo. Mi avevano colpito al radiatore e, mantenendo la velocità bassa riuscì a non fondere. Speravo di farcela ad arrivare se non a Cerveteri, che era stato riparato, almeno a Ciampino: ma non ce la facevo anche perché avevo paura di piantarmi sui Colli Albani. Alla radio continuavano a dirmi di stare calmo e, finalmente vidi alla mia sinistra un aeroporto che poi era quello di Pratica di mare, dove stavano i Tedeschi. Cominciai a perdere quota e misi fuori il carrello: il motore grippò in pieno e dovetti ritirare il carrello per passare la rete di recinzione. Passata questa, il carrello, che era collegato al motore non voleva sapere di scendere di nuovo, almeno interamente e dovetti azionare la pompa a mano di soccorso. Atterrai con un'ala, presi una botta tremenda e ...non mi ricordo più nulla se non il fatto che i Tedeschi furono molto veloci nel soccorrermi ed evitarono che l'aereo si capovolgesse. Mi portarono con un'ambulanza al Celio, che era pieno zeppo e mi rifiutò; mi portarono allora all'ospedale del Littorio, dove c'era ricoverato anche il tenente Cavatore che scontratosi di muso con un Lighting aveva rimediato una cannonata che l'aveva colpito alla mano sinistra e gli aveva strappato parte dei comandi, guidava un Messerschmitt e ci mise tre tentativi per atterrare, manovrando la cloche con le gambe e chiudendo il motore con la mano sana ed io gli avevo salvato la vita tirando giù il Lighting. Cavatore mi vide portare dentro in barella da due tedeschi che non fecero troppi complimenti e visto che c'era un posto mi mollarono lì. Non davo segni di vita e nessuno sapeva se ero italiano, tedesco, o anche inglese: la mia tuta era zuppa d'olio e non avevo alcuna piastrina di riconoscimento. Fu Cavatore a riconoscermi: "Quello è Gorrini, disse, mi ha salvato la vita dieci giorni fa..." E siccome dopo gli abbattimenti su Sulmona ero diventato famoso, mi aveva citato il bollettino di guerra ed ero finito sulla copertina della Domenica del Corriere disegnata da Beltrame, altri mi riconobbero. Mi hanno ingessato e ho avuto l'assistenza di Susanna Agnelli che era infermiera al Littorio: ci fu del tenero fra noi due e...dovevamo sposarci, ma io le dissi "Tu sei la Fiat, io sono un sergentino..."
Siamo rimasti buoni amici, e a volte ci sentiamo ancora.
D. E l' 8 settembre?
R. Quando è venuto l'8 di settembre, la Susanna che intanto mi aveva fatto avere una nuova divisa, mi propose di andare con lei a Rocca di Papa. Ma io volevo tornare a casa, lei un po' insisteva e, alla fine dispiaciuta e rassegnata, anche commossa, mi accompagnò al treno. Ci salutammo e proprio nel mio scompartimento si sedettero due ufficiali tedeschi: io portavo anche una decorazione tedesca, la croce di ferro di 2° classe e loro non sapevano come comportarsi a fronte di tutto quello che stava succedendo, ed io pure. Parlando e cercando di intenderci, con qualche parola in francese, tenemmo una conversazione fino ad Orvieto dove per fortuna scesero. Ad Orvieto salì una signorina, riuscimmo ad arrivare a Bologna che vidi tutta bombardata, la aiutai a portare le valigie, attraversammo Bolgna per prendere i treni che proseguivano verso Milano. Montati sul treno, a Reggio Emilia il treno fu bloccato e si vedevano soldati tedeschi impartire ordini: dicevano agli uomini di scendere, a tutti i maschi. "Lei stia qui" mi disse la signorina" Io sono bulgara" Salirono sul treno quelli con la piastra, la Feldegendarmerie, lei mi buttò il suo soprabito addosso e i Tedeschi ridendo passarono via. Mi sono salvato così. A Fidenza scese anche lei, bevemmo qualcosa in un bar e mi disse che abitava in Piazza Piemonte a Milano e mi diede l'indirizzo. Alla stazione chiesi qualcuno che mi accompagnasse a casa e trovai uno con una macchina a carbonella; la mia famiglia era mesi che non aveva mie notizie. Il tipo con la macchina aveva paura dei Tedeschi, ma riuscì a convincerlo.
D. Come decise di scegliere di continuare a combattere nella RSI?
R. Ero a casa da un paio di settimane, quando il comandante Falconi invitò tutti i suoi piloti, il III Stormo, a rientrare a Mirafiori, per radio. Un problema arrivare a Torino, perchè non funzionava più niente...Falconi era rimasto al III Stormo e dopo l'8 settembre, dopo che aveva dato l'ordine di rendere inservibili gli aerei per non farli catturare dai Tedeschi, riuscì ad ottenere da Kesserling una serie di garanzie e documenti bilingui. Riunì i piloti e disse loro se volevano continuare a combattere e se sì, di esser pronti a trasferirisi a Torino. Tutti accettarono, eccetto il tenente Melis che con tutti i sardi del gruppo preferirono andare in Sardegna con un 133. Me ne andai a Torino in bicicletta, partii la mattina e alle cinque di pomeriggio ero arrivato. Mi aspettava, ero ancora ingessato e fatto venire un autista mi accompagnò alle Molinette.
Lì accertarono che stavo bene e mi tolsero il gesso; fu ancora lì che mi presentò un capitano che io non conoscevo e non sapevo chi fosse: "Questo è il comandante della prima squadriglia del primo gruppo dell'Aeronautica Nazionale Repubblicana" Era il capitano Visconti. Falconi mi voleva mettere nella seconda squadriglia, ma quel capitano volle a tutti i costi prendermi con sè nella prima. Così tutti i piloti del III stormo finirono nella seconda, la Vespa, ma io finii nella prima, l'Asso di bastoni. Gli unici due piloti del Terzo stormo che non andarono nella seconda furono il povero Cavatore ed io.
Abbiamo ricominciato tutto: Visconti era un uomo eccezionale...i più bei combattimenti li ho fatti con lui. Lui era tripolino.
Non era sposato...Stiamo tentando di portarlo via da Musocco, ma Aniasi si è sempre opposto, è stato lui ad ucciderlo, con altri due...a cui adesso starà dando la colpa. La formazione partigiana Redi controllava la caserma dove stava Visconti che aveva accettato la resa nelle mani dei partigiani previa garanzia di lasciapassare per tutti i suoi uomini e la mediazione dell'ingegnere Vismara. Stavamo a Gallarate ed eravamo armati fino ai denti, avevamo ancora alcuni aerei che avevamo diposto a raggiera pronti a sparare. I partigiani non potevano fare nulla, avrebbero potuto venirci addosso solo con i carriarmati. Visconti, nonostante molti altri ufficiali e comandanti di squadriglia gli avessero detto di non fidarsi, che ci si doveva arrendere solo agli Americani, fidandosi della parola. Gli intermediari, non appena vi fu la resa scritta se ne andarono ed egli rimase nella caserma con i partigiani, l'attuale caserma Montello ex Savoia-cavalleria, dove sto lottando perchè venga messa una lapide che ricordi il sacrificio di Visconti e di Stefanini. Tutti ci troviamo ogni anno, il 29 aprile a Musocco per onorare la sua memoria. Comunque andò così: nella caserma Montello, Visconti più altri ufficiali furono prima disarmati e poi dissero a Viscnoti che doveva andare in un posto per essere interrogato e Stefanini, che era il suo aiutante, lo seguì. Non appena furono nel cortile gli spararono alle spalle e fece in tempo ad urlare loro :"Vigliacchi!"
Stefanini cercò di coprirlo con il corpo e morì subito, ma per lui fu necessario il colpo di grazia...Hanno fatto fuori l'uomo più a posto che esisteva, come uomo e come pilota. I più bei combattimenti li ho fatti con lui, non li abbiamo mai avuti in testa...facevamo 11000 metri con il 205. Pensi che fu uno degli ultimi a combattere, sul lago di Garda, forse il 20 aprile del 1945, si sparò frontalmente con un Mustang...
Quello della RSI è stato il più bel periodo. Avevamo un comandante che sapeva quel che voleva. Pochi aerei e i nemici venivano su con delle formazioni...Noi avevamo due gruppi operativi, l'intera Repubblica aveva tre gruppi da caccia, un gruppo trasporti, un gruppo aerosiluranti il Fagioni. Guardi che gli Americani erano contenti che noi eravamo pochi, perché seppur pochi gli abbiamo fatto dei danni mica da ridere. Il gruppo abbiamo buttato giù 112 aeroplani ed altrettanti il secondo gruppo. Certo abbiam perso quasi duecento piloti...ma la nostra pelle l'abbiamo venduta cara.
Il I gruppo si è formato a Torino e poi, addestratici sotto il controllo dei Tedeschi che all'inizio non si fidavano di noi, ingaggiammo i primi combattimenti. Ricordo i primi abbattimenti quando gli Americani bombardarono Villar Perosa.
Poi ci spostarono a Campoformido, vicino ad Udine. E lì fu incredibile, eravamo sempre su, sempre su, giorno e notte, anche quattro combattimenti al giorno. Ci gettavamo contro formazioni anche di cinquecento quadrimotori che andavano a bombardare in Germania: prima li intercettavamo noi e parte della caccia per fermarci era costretta a sganciare i serbatoi supplementari; succedeva quindi che i quadrimotori superavano le Alpi ma rimanevano senza scorta ed anche in Germania venivano assaliti dagli aerei Tedeschi.
Tornati indietro, gli saltavamo addosso ancora noi, tanto che dovettero cambiare tattica: partivano da Foggia, bombardavano la Germania e si dirigevano direttamente in Inghilterra.
Cimicchi, medaglia d'oro dell'aeronautica del sud, mi disse: "Gigi, io ero al sud, ma con il cuore stavo con voi e con me tanti altri! Voi non sapete veramente quanti aeroplani avete abbattuto, io li contavo quando partivano e li contavo al ritorno, lavoravo con un maggiore che comandava un gruppo di Lighting. Quando si trattava di andare contro i Tedeschi passava, ma quando sapevano che vi avrebbero incontrato, molti tiravano dietro il sedere sulla sedia...
Ci credevano belve, persone disposte a tutto; guardi la nostra determinazione ed il nostro accanimento erano davvero tanti. Al ritorno vedevo scendere dai bombardieri morti e feriti. Tutti gli anni, la prima domenica di giugno vi è un raduno dell'Aeronautica nazionale repubblicana sul lago di Garda, sono io ad organizzarlo da quasi venti anni.
Ci troviamo in diverse centinaia di persone, arrivano anche i Tedeschi. Veniva Neumann, che ora è morto, veniva Galland, viene Steinmann che mi ha regalato un porta sigarette, gli ho salvato la pelle sul cielo ad Udine...aveva già il Messerchmitt incendiato ed aveva addosso due Thunderboldt: sono riuscito a giostrare e ad incendiarne uno e a metter in fuga l'altro.
Lui riportò ferite gravissime, era tutto bruciato...poi diventò il comandante della Luftwaffe della repubblica federale tedesca: mi ha insignito della croce di ferro di I classe.
D. Quale fu il suo ultimo combattimento?
R. Il mio ultimo combattimento fu quando venni abbattuto, era la V volta, a Reggio Emilia, con il 205. Ho sempre avuto nella RSI a disposizione il 205, qualche volta il Fiat G.55. Ci diedero l'allarme molto in ritardo e partimmo, ma non riuscimmo a fare quota a sufficienza e ci piombarono addosso, mi hanno abbattuto a Fogliano. Ho aperto il paracadute, ma nella caduta a terra ho battuto violentemente la schiena (mi fa ancora male) e persi conoscenza. Intorno avevo i contadini con il forcone che forse mi credevano un inglese o un americano. Arrivò il maggiore Visconti a prendermi e con la sua auto mi portò dal nostro medico, il quale mi visitò e mi fece ricoverare all'ospedale a Reggio. Il medico a Reggio mi fece avere una licenza: ero ridotto male, vicino ad un esaurimento nervoso, e me ne andai a casa. Quando tornai stava tutto per finire.
D. Come visse la fine della guerra? Dove si trovava il 25 aprile?
R. Ero a Milano e feci in tempo a vedere Mussolini appeso...Insieme ad altri piloti avevamo affittato una camera in via Leoncavallo...ironia della sorte, all'angolo con Piazza Sire Raul.
D. Incontrò mai i partigiani?
R. Già quand'ero a Reggio...li incontrai una sera in macchina, un Balilla coppa d'oro che era di Villoresi un pilota della mille miglia. La comprai per 40000 lire, era mantenuta benissimo e rifinita. Quando Visconti i vide pensava l'avessi rubata o requisita a qualcuno...e poi l'adoperava anche lui per andare dalla Gianna, la sua ragazza, per non usare quella militare. Comunque successe così: abbatterono il povero Magnaghi mentre stava facendo la prova motore su Reggio Emilia e c'era anche una troupe del giornale Luce. Volevano che facesse anche qualche acrobazia...Magnaghi è andato su e non ha attaccato la spina della radio; quando stava per atterrare gli si sono piantati in coda 4 Lighting che gli hanno sparato addosso e lo colpirono in una gamba. Stava male e, una notte viene da me il dottore: "Gorrini, è finita la bombola, tu che hai la macchina vai alle Farmacie riunite di Reggio a prenderne uno..." Prendo la macchina e vado, arrivo all'altezza del manicomio e vedo una lampada rossa, era molto tardi, le due o le tre di notte..."Dove vai?" una voce secca di uno.
Ero in divisa "Vado alle Farmacie riunite a prendere una bombola..." "E' per quello che hanno tirato giù?" "Sì" Mi lasciarono passare: e così tre giorni dopo. A Magnaghi gli tagliarono la gamba, ma la cancrena lo aggredì e non ci fu niente da fare...
Vede i partigiani che conoscevano il gruppo Visconti, sapevano quello che facevamo e ci lasciavano in pace.
Fu quella brigata, quella che uccise Visconti, ad obbedire ad ordini che venivano dall'alto, dal CLN, in particolare da Pertini e probabilmente anche da Cadorna. Visconti faceva paura: era un uomo con un carisma eccezionale, un uomo scomodo...
Tornando a Milano, iniziarono le grane, i giorni della Liberazione, torniamo a casa e troviamo due brutti ceffi...due della Questura. "Dovete seguirci" Andiamo in Questura e poi di lì a Bresso, in una specie di campo di concentramento: ne vidi di tutti i colori. Un pezzettino di pane doveva bastarci tutto il giorno. Ci ha salvato la divisa, perché di notte quei poveri ragazzi della GNR o della X MAS...si mettevano dieci partigiani da una parte, dieci dall'altra e il facevano passare in mezzo e giù con i calci dei moschetti in testa, molti stramazzavano morti dopo i primi colpi. Oppure aspettavano che uno si recasse a fare i bisogni e dalla garritta, con una scusa, la sentinella sparava...Sono riuscito a salvarmi perché ho fatto uscire un biglietto e è venuto a prendermi una macchina con un blindato, ci hanno portato via in tre. Ci fecero riempire un questionario e poi, due settimane dopo, ancora due della Questura in casa, e sta volta finii a S.Vittore. quattro mesi.
Uscii che ero magro, denunciato al tribunale militare e degradato...me ne fecero di tutte...
Finalmente vado dal giudice, si sparge voce che era un ebreo...A casa saluto tutti...non avevo soldi per pagare l'avvocato e andai a Milano in bicicletta, ricordo che l'appoggiai al muro del Palazzo di Giustizia. Un usciere mi impaurì giuocando sul probabile astio del giudice nei miei confronti, in quanto ebreo...Busso. Mi fa accomodare e presentandomi come aviere pilota, ero stato degradato, mi corresse: "Lei è il sergente maggiore pilota Luigi Gorrini" Apre il mio fascicolo..."A ma lei è quello del messale..." Io avevo non solo compilato il questionario che ci avevano dato, ma avevo allegato una specie di memoria: volevo descrivere tutto quello che avevo fatto, ma tutto. Dubitava sulle mie affermazioni: "Neanche il Capo di Stato maggiore dell'Aeronautica nazionale Repubblicana può aver fatto questo!" "Io confermo tutto: è tutta la verità" Chiude il fascicolo, lo ripone nell'armadio, mi viene vicino e mi guarda bene. "Vada, vada: ce ne vorrebbero tanti come lei!" Uscii di corsa e travolsi l'usciere di prima, lui con tutte le sue scartoffie: ho sceso lo scalone e in bicicletta tornai a casa, così veloce, che se c'era Coppi o Bartali, non mi avrebbero preso.
Sono tornato a casa e ho dovuto riprendere servizio a Lecce, in quanto istruttore di acrobazia e poi ancora come assistente al volo, ma era tutto diverso e forse non interessa più.
D. Può farmi qualche valutazione attuale?
R. Le dirò questo: per darmi la medaglia d'oro ci hanno messo 13 anni, per voli fatti prima dell'8 settembre!
L'hanno fermata tre volte, sciogliendo le rispettive commissioni. Alla fine i vari presidenti di commissione si sono chiesti se erano dei coglioni, dei generali di corpo d'armata coglioni che decidevano qualcosa che poi veniva fermato. Non contava che io fossi stato nella RSI, perché la medaglia si riferiva ad azioni precedenti. Il Capo di Stato maggiore dell'Aeronautica Remondino, prese il generale Via che era quello che continuava a fermarla: "Se Gorrini merita la medaglia d'oro, gliela diamo. Se va fucilato per quello che ha fatto dopo l'8 settembre lo fuciliamo." Taviani era un po' sulle sue e chiese tutta la documentazione, se la studiò e scrisse di suo pugno la conferma. Per quanto riguarda la promozione, doveva essere nel 1942, ma siccome ero nella RSI mi fu data nel 1972! Dovevo venire a casa da tenente colonnello, come tutti quelli del mio corso, e invece mi fecero venire a casa da maresciallo. Mi danno 2100000 di pensione, una miseria di liquidazione per 40 anni di voli, la gran parte rischiando la vita in guerra. !
Ma non mi interessano i soldi: ne faccio una questione morale. Non ho figli e sto con mia moglie, la casa è mia e tutti i miei ricordi vorrebbero comprarli gli Americani. Ma voglio che rimangano in Italia.
Ma quello che ho fatto allora, con la Repubblica, sono pronto a rifarlo anche adesso perchè ero convinto di essere dalla parte del giusto. Noi non avevamo alcun partito, noi difendevamo le città italiane dai bombardamenti dei liberatori, le nostre case ed il nostro onore. La guerra sapevano tutti che era persa con El-Alamein ed io l'ho persa due volte: l'8 settembre ed il 25 aprile. Ma ripeto, quello che ho fatto allora...quelle tonnellate di bombe in meno che abbiamo evitato alle nostre città, questo è un innegabile merito storico. Io non abbasso gli occhi di fronte a nessuno, l'ho fatto e lo rifarei. Pensavo però che dopo tutto quello che successe l'Italia andasse in mano a gente onesta.
D. Come vede il futuro dell'Italia?
R. C'è il rischio che finiamo come la Yugoslavia e l'Albania. Prego Iddio di sbagliarmi, ma finché si vede certa gente.
Il più pulito ha la rogna...